
L’uomo poggiò la fronte sulle sue mani stanche, quasi supplicando di trovare un sostegno al peso dei suoi pensieri.
Con le stesse mani contorceva quella figura che odiava, ed un rigurgito di schifo gli salì fino in bocca, a confondersi con l’acre sapore delle lacrime che gli scendevano in gola. Non si era mai sentito così solo e disperato, o forse lo era ogni volta che incontrava gli sguardi delle persone, in cui leggeva riflesso il suo stesso disgusto.
Nulla poteva, e nulla avrebbe fatto.
L’uomo sentiva alleviato il suo tormento nell’oscurità più assoluta, e così viveva quando poteva chiudersi fuori dal mondo, troppo aggressivo e feroce per la sua debolezza.
“Tu, lurido animale marcio” – esclamò con un unico grido soffocato, mentre fuori le auto sfrecciavano veloci come le lacrime sul suo volto.
Chiuse la porta dietro sé, come mille altre volte aveva fatto e come non ce ne sarebbero state altre. […]
Un vecchio contadino lo trovò appeso ad un ramo, l’indomani mattina, alle prime luci di un’alba senza più suoni, né colori. […]
Ionas Eigcod, “La notte che mi ha ucciso”. Pag. 297