lunedì 24 marzo 2008

Inchiesta a puntate: Brutti e discriminati, ecco le prove.


III parte: Natura o cultura?

Ecco: è politicamente corretto militare per i diritti delle persone di colore, delle donne, dei portatori di handicap e delle minoranze sessuali, ma nessuno oserebbe scendere in piazza per chiedere un trattamento più giusto dei brutti. Come se fosse indecente dare valore all'apparenza fisica.

Negare l'apparenza è negare ciò che vediamo. Persino un padre dell'Illuminismo come Voltaire non disdegnava gli attributi fisici dei suoi interlocutori. Stando agli esegeti, anche Aristotele diceva spesso che "la bellezza vale come introduzione più di ogni lettera di raccomandazione". In quell'epoca così lontana, quando Platone gettava alcune delle basi del pensiero occidentale, l'aspetto fisico era rivelatore dell'anima, di una concordanza armoniosa tra la bellezza interiore e quella esteriore.
Non a caso la radice etimologica del termine cosmesi deriva da kosmos, armonia. Così, attraverso i secoli, mentre costruivamo tutta una serie di valori positivi per la bellezza, abbiamo implicitamente costruito dei valori negativi per i brutti.
Formalizzati scientificamente dal criminologo Cesare Lombroso, fortemente influenzato dall'antica scienza della fisiognomica e famoso per aver teorizzato che la bruttezza interiore, cioè la bassezza morale e la propensione al crimine, la si porta stampata in faccia. Secondo Lombroso, non si diventava brutti e cattivi, si nasceva così.

Fortunatamente la questione "natura versus cultura" oggi sembra risolta a favore della cultura, ma non è bastato per cancellare la nostra tanto segreta quanto colpevole avversione nei confronti dei brutti.

Nella nostra società edonista siamo ossessionati dall'aspetto fisico, dalla performance del corpo e nel contempo consideriamo che le questioni legate appunto all'apparenza siano frivole, futili, buone solo per le riviste femminili. Eppure, come per qualsiasi altra discriminazione, se abbiamo la prova che l'aspetto fisico è importante dovremmo prendere delle misure. Si tratta di agire perché la bruttezza non sia un fattore determinante e discriminante nella vita di un individuo.

Secoli di favole ci insegnano che i belli stanno con i belli, che nessuna principessa ha mai vissuto felice e contenta con un brutto e che l'orco Shrek non sta con Miss Mondo ma con un'orchessa che rutta.
E non lasciamoci ingannare dalla serie tv Ugly Betty, la storia di una ragazza bruttina, con l'apparecchio ai denti, occhiali dalla montatura improbabile e un look terribile, che lavora in un mondo dove invece bellezza e look sono tutto. Tra qualche puntata anche lei, come i personaggi delle favole, comincerà a trasformarsi: niente più apparecchio, vestiti sexy, trucco e occhiali glamour.

Per restare in quel mondo Betty deve adattarsi, migliorare il proprio aspetto. Altro che rivincita delle brutte! Certamente potremmo boicottare la nuova Betty, consolarci con l'ultimo libro di Umberto Eco, Storia della bruttezza (Bompiani), e poi scendere in piazza per scandire che "brutto è bello". Ma non illudiamoci: Senza voler essere troppo cinici, la vita quotidiana suggerisce che è più facile eseguire una rinoplastica che operare un cambiamento delle mentalità.


fonte: liberamente tratto e rielaborato da "Dweb Repubblica", autrice Maria Grazia Meda

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